Dogman: la discesa agli inferi di un uomo piccolo piccolo

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Dogman: la discesa agli inferi di un uomo piccolo piccolo

Disponibile su Amazon Prime Video il film pigliatutto agli scorsi David di Donatello: Dogman di Matteo Garrone. Una discesa agli inferi atemporale senza possibilità di risalita.

È un latrato soffocato dagli strati di una umana cordialità e sottomissione Dogman, film del 2018 firmato Matteo Garrone e ora disponibile sulla piattaforma streaming Amazon Prime Video. Quella che ammanta questo film è una fotografia cupa, oscura, riverbero cromatico di quell’antro nascosto da Marcello perché istintivamente e paurosamente animalesco. Una sfaccettatura insita in ognuno di noi e sedata inconsciamente in qualità di animali sociali, ma ora lasciata libera di mostrarsi e colpire per affondare le proprie lame come denti aguzzi di un cane tenuto troppo tempo legato da una fune estremamente corta.

Solamente ispirato alla vicenda del canaro, Dogman di Garrone segue le vicende di Marcello (Marcello Fonte), uomo mite e minuto, spinto da due grandi passioni: quello per i cani che cura con amore nella sua toelettatura, e quello per sua figlia Alida.

Marcello e la sua antitesi sia fisica che psicologica, Simone (un intenso Edoardo Pesce) si muovono in una terra di nessuno, un ambiente desertico, sterile e atemporale richiamante nelle fattezze quello di un western sulla cui terrà verrà giocata una sfida mortale tra l’uomo e la sua animalità. La toelettatura di Marcello, il compro oro e il bar di piazzetta fanno parte di un decorativismo arido e freddo sprovvisto, se non per pochi e brevissimi istanti, di umani calori.

DogmanGli ambienti si fanno cartina di tornasole dell’animo dei personaggi, ripresi dal basso come da chi, dagli inferi, assiste allo scorrimento della loro esistenza nell’attesa di poterli attirare a sé in una spirale distruttrice dagli esiti drammatici. Il mondo di Marcello è un luogo archetipo e metaforico atto a tramutarsi nel pre-testo della vita provinciale italiana. Quelli di Marcello sono dunque micro-movimenti all’interno di un mondo ancestrale e primitivo in cui la violenza rattrappita, la cronaca traslata e rinnegata, la poesia silenziata e per questo esacerbata dominano come regnanti spettrali.
Le inquadrature sembrano accarezzare un incanto feroce, quello di un’umanità dalla bestialità mai veramente sopita ma latente e pronta a scatenarsi. Il rosso che ammanta gli scheletri murari che, come corpi martoriati, tengono in piedi il negozio del protagonista sono indizi epifanici dei momenti terribili che seguiranno, conducendo Marcello a macchiarsi le proprie mani del sangue di Simone. Quella di Garrone non è una semplice riduzione cinematografico di un atto barbarico che ha macchiato di sangue, sconvolgendola, l’Italia di fine anni Ottanta. L’evento di cronaca – la vicenda del Canaro della Magliana – diventa pretesto su cui costruire un saggio del tutto nuovo, universale e perturbante riguardante il lato più brutale e oscuro dell’animo umano. La storia del canaro si fa canovaccio, una serie di appunti abbozzati su un foglio a cui ispirarsi per poi scrivere la tragedia di un uomo piccolo piccolo, schiacciato dalla prepotenza altrui e dalla propria sensibilità. Marcello non è il borghese di Alberto Sordi, ma il vicino che non ti aspetti, l’acqua cheta che riscopre la propria anima tormentata e oscura riflessa dal fuoco dell’inesorabile vendetta.
Fossero vissuti in un luogo ameno e bucolico quella in cui sarebbero caduti i protagonisti di Dogman sarebbe identificabile come un turbine infernale; il film di Garrone, invece, non fa altro che spostare il velo che ricopre il mondo di Marcello per mostrare la prevedibilità di queste cadute perché l’inferno si trovava già attorno a loro, nascosto dietro i sorrisi e gli abbracci altrui. Dopo l’uccisione di Simone nessuna giustizia condannerà Marcello; nessuna pattuglia giungerà a prenderlo. Solo e spaesato l’uomo è stato già condannato alla pena più cruda: rimanere in balia dei propri sensi di colpa. Sospeso in eterno nell’attesa di una pena che sembra non arrivare mai, Marcello è inquadrato dall’obiettivo della cinepresa con aria terrorizzata, tipica di chi prende coscienza delle proprie azioni senza poterle espiare. E intanto l’implosione e la forza cieca rientrano, e l’animo gentile e sensibile torna a prendere il sopravvento lasciando inerme, e disarmato il cuore di Marcello.

Elisa Torsiello

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