(Ri)scoprendo Jason Reitman: Tra le nuvole

Tra le nuvole

(Ri)scoprendo Jason Reitman: Tra le nuvole

Uscito nel 2009, Tra le nuvole racconta con sarcasmo e un tocco di cinismo la crisi finanziaria e la perdita del posto di lavoro. Uno dei migliori film firmati Jason Reitman.

Terra. Anno 2009. Quella che investe l’intero globo è un’onda anomala dalla portata disastrosa e apocalittica. Il suo impatto sconvolge le esistenze di coloro che si ritrovano nel suo raggio d’azione e nulla fa presagire a una sua ritirata.

Terra. Anno 2018. A quasi dieci anni dalla sua prima comparsa, l’onda anomala continua a muoversi tra di noi. È un’onda generata non da un maremoto, ma da un tracollo, quello finanziario. La sua composizione non è fatta d’acqua, ma di numeri, cifre che calano inesorabilmente; ad alimentare la sua potenza sono i pianti e la disperazione di chi si ritrova senza un lavoro, senza progetti, senza futuro. Tra i primi a farsi portavoce delle conseguenze catastrofiche di questo tsunami finanziario è stato Jason Reitman, figlio di quel Ivan Reitman già regista di film come Ghostbusters e Junior, e a sua volta autore di pellicole come Juno e Thank you for smoking. Con Tra le nuvole (Up in the air nella versione originale) Reitman decide di narrare la crisi non attraverso gli occhi di uno dei tanti lavoratori costretti a lasciare il proprio lavoro, bensì prediligendo il punto di vista di Ryan Bingham (George Clooney), un freddo mietitore con il compito di porre fine alla carriera di coloro che hanno la sfortuna di trovarselo davanti.

Il lavoro di Ryan è infatti quello di licenziare (o come dice lui, “congedare”) il personale non più richiesto nelle aziende multinazionali. Il lavoro è così importante – se non tutto – nella vita di Ryan che lo spettatore si ritrova immerso nella sua routine quotidiana sin dai titoli di testa del film. Basta un incipit in medias res ed ecco che siamo catapultati tra voli di linea, hotel lussuosi, valigie e all’interno di uffici opulenti e freddi di una grande azienda. Sono passati solo cinque minuti dall’inizio di Tra le nuvole e sebbene il pubblico abbia già compreso la natura di “non” esistenza di Ryan, dell’uomo ancora nessuna traccia. La macchina da presa si limita a compiere una sezione minuziosa sul corpo del personaggio, restituendoci metonimicamente alcuni dettagli fisici dell’uomo, insieme alla loro totale inclusione negli ambienti in cui capitano ad agire. Così facendo Reitman esalta ancor di più la dipendenza che Ryan ha per il suo lavoro e i significati che vi si nascondono dietro: scappare dalla propria quotidianità, dagli affetti, vivendo isolato senza ripercussioni emotive. Il montaggio serrato, fatto di movimenti frammentati e dal ritmo incalzante, rimanda una reiterazione continua e ormai meccanica di azioni sempre uguali, compiute dal protagonista tutti i giorni, a tutte le ore. Ciò a dimostrare quanto poco spazio sia destinato nella realtà del personaggio all’improvvisazione e al sentimento. Un’insofferenza ai legami che si ritrova pregnante nel corso dei colloqui con i futuri licenziati. Qui la macchina da presa esclude totalmente il personaggio di George Clooney dal quadro. In campo compaiono solo loro: lavoratori instancabili, da anni al servizio di un’azienda che gli ha traditi; c’è chi urla, chi si dispera, chi inveisce contro Ryan, mentre lo spettatore assiste impotente alla loro caduta sociale. Costruendo la scena come se fosse un’intervista, o un mockumentary (si pensi a serie TV come The Office, o Parks and Recreation) Reitman spinge il proprio pubblico a stabilire un rapporto privilegiato con questi personaggi, rivelando al contempo la vera natura di  Ryan: un uomo appagato della propria vita, del proprio lavoro e incurante nello stabilire un qualsivoglia contatto umano con gli altri.

A enfatizzare il carattere solitario di Ryan è soprattutto la cura maniacale riservata dal regista allo studio della prossemica e alle varie soluzioni di carattere filmico che danno vita al film. Una sequela di primi piani separa costantemente il protagonista dagli altri, alludendo a un’incapacità dell’uomo – nonostante un savoir faire apparentemente affabile ed empatico – di accettare che qualcuno possa invadere il suo spazio personale e condividere con lui l’inquadratura. Questa lontananza affettiva si estende anche ai colleghi di lavoro e perfino ai suoi famigliari. Per un uomo così dedito al proprio lavoro è inconcepibile separare vita personale e professionale, con il risultato che tutti (sorelle comprese) vengono trattati come impiegati da licenziare. Sarà solo con l’entrata in scena dell’affascinante Alex (Vera Farmiga) e della giovane collega Natalie (Anna Kendrick) che il piano di ripresa si farà più ampio e Ryan imparerà a circondarsi di tutte quelle persone che gli vogliono bene. E se è vero che l’amore vince su tutto, nei film di Jason Reitman il lieto fine non è mai scontato. Una visione cinica della realtà sembra ammantare le proprie storie, rivelando aspetti della nostra società che spesso tendiamo a ignorare. Quelle di Retiman sono famiglie in crisi; famiglie disfunzionali; singoli componenti del nucleo famigliare stanche della propria monotona ordinarietà (Tully); uomini e donne che una famiglia non la vogliono (Ryan ma anche Juno) o talmente ossessionati da se stessi e dai fantasmi del proprio passato che arrivano a mandare in aria la felicità degli altri (Young Adult). Sono nuclei domestici pronti a implodere sotto il peso di responsabilità e doveri verso cui tutti si sentono inadeguati, ed è proprio alla stregua di queste insicurezze che i personaggi di Reitman appaiono così umani e lontani da quell’aura di irrealtà che circonda i personaggi sullo schermo cinematografico. E così, proprio come accadrebbe nel mondo reale, per uno così sicuro di sé come Ryan, l’amore che gli bussa alla porta in Tra le nuvole non ha niente a che fare con quell’amore romantico e melenso tipico dei film. L’uomo si infatua infatti di quella che è a tutti gli effetti la sua versione al femminile. Due anime gemelle, indipendenti e impazienti, che finiranno ben presto a bruciarsi con le fiamme di una passione destinata a estinguersi in fretta.

Chi sarà a dare una sterzata alla vita di Ryan è colei che è in tutto e per tutto ai suoi antipodi: Natalie. È lei, perpetuamente in preda alle proprie emozioni e debolezze, fredda all’apparenza, ma così fragile e vulnerabile nel profondo, la mina che sconvolgerà l’equilibrio del protagonista. Seppur indirettamente, sarà sempre lei a far cadere Ryan nell’acqua, risvegliandolo da un torpore che lo aveva allontanato dalla società e relegato in un sogno continuo. Uscire dall’acqua sarà per questo personaggio come rinascere una seconda volta; con i piedi tenuti ben saldi a terra, sarà ora solo la mente – e non più il corpo – a vagare libera tra le nuvole.

Se Tra le nuvole risulta così vincente non è solo merito della regia impeccabile di Reitman, ma anche e soprattutto di interpretazioni eccellenti, una su tutte quella di George Clooney. Completamente calato nella parte, l’attore si è dimostrato capace di esprimere anche solo attraverso un semplice sguardo tutte le diverse sfumature che colorano il personaggio di Ryan; ad aiutarlo nell’impresa anche quell’indipendenza da scapolo incallito ostentata dall’attore al tempo delle riprese, e che tanto lo accomuna al  personaggio interpretato. Plauso a parte merita Anna Kendrick, la quale si è dimostrata capace di interiorizzare e far sue tutte quelle insicurezze e perplessità che attanagliano la sua Natalie.

Tra le nuvole è a tutti gli effetti un film da recuperare e guardare all’infinito. Un po’ monito e un po’ compagno di avventura, con questo film ci sentiremo, forse, un pochino meno soli.

Elisa Torsiello

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